Cari amici, spesso dopo una pesante sconfitta, magari contro una squadra di rango nettamente inferiore o comunque particolarmente pesante o magari inaspettata, capita di leggere su Internet che così è la Pazza Inter, che dobbiamo amarla senza condizioni per questo e che questa è la nostra identità. Mi permetto di dissentire, ma anche di smentire, almeno in parte, questo assunto. Pazza Inter non vuol dire perdere con il Beer Sheva o pareggiare con il Pordenone, secondo una logica di romantico masochismo. Il concetto Pazza Inter diventa un leitmotiv nel mondo nerazzurro dal 2003, anno in cui viene composto il famoso inno dal titolo omonimo. Il significato di Pazza Inter è sempre stato quello sì di imprevedibilità, ma più legato a imprese memorabili, prove di carattere, rimonte pazzesche e insperate come quella sul Liverpool negli anni ’60, sull’Aston Villa negli anni ’90 o sulla Sampdoria nel ’05 da 0-2 a 3-2 nei minuti di recupero e tante altre. Qualcosa che insomma rimandi al livello di una squadra che ha avuto sempre l’ambizione di vincere nel suo Dna e non molla mai anche nelle situazioni più disperate, non quello di essere una simpatica provinciale di lusso un po’ gaffeur, con un seguito di cortigiani adulanti. Pazza Inter, amala.