La rappresentazione malinconica e nostalgica di un Moratti costretto a cedere alla globalizzazione senza cuore non mi convince. Credo invece che sia stata una scelta ben ponderata, con un unico obbiettivo, far tornare l’Inter fra le grandi d’Europa. Non c’era l’obbligo di vendere, ma la necessità di ristrutturare in senso moderno la società, perchè se vogliamo tornare a competere con Barcellona e Manchester United, se vogliamo tornare a vivere le emozioni vissute nel 2010, non possiamo non aprirci ai mercati asiatici e ai milioni di tifosi dell’Inter sparsi per il mondo. E va da sè che una tale predisposizione è nel nostro Dna. In questi giorni c’è stata una pioggia torrenziale di editoriali su questa vicenda, tutti dividevano schematicamente le ragioni del cuore con quelle dei soldi. E’ una divisione senza senso, perchè abbiamo visto che le motivazioni vanno ricercate in un diverso tipo di gestione della società, perchè senza soldi una società non va da nessuna parte e allora chi avrebbe il cuore di far ristagnare il blasone dell’Inter al nono posto? Le due cose quindi si tengono insieme. E questo lo hanno capito la maggior parte dei tifosi dell’Inter, che hanno messo insieme l’affetto per Moratti con la consapevolezza pragmatica che così non si poteva più andare avanti. Un atteggiamento che ha evitato i due estremi, non si sono viste crociate contro l’invasor e nemmeno tappeti rossi, un po’ di sana diffidenza ci sta, a patto che non sfoci nel pregiudizio, perchè il nuovo è un’opportunità e una società senza innovazione perisce.