Spalletti e l’interismo
Diciamolo chiaramente, non che ci siamo mai nascosti, anzi siamo forse gli unici ad aver criticato Spalletti quasi fin da subito, ne’ lo abbiamo mai osannato, ma ora vogliamo dire chiaramente che Spalletti per mentalità, spessore tecnico, comunicazione, stile, non è un allenatore da Inter e andiamo a spiegare perchè
CALCIO GIOCATO Per sua stessa ammissione (recente intervista al corriere della sera) Luciano Spalletti conosce solo due moduli, il 4-2-3-1, che eventualmente può tramutare in un via di mezzo con il 4-3-3, e il 3-4-2-1. Ha allenato in provincia fino a quasi 50 anni con alterne fortune, un buon inizio con l’Empoli, poi due esperienze negative con la Sampdoria e il Veneziamestre, quindi una salvezza sofferta con l’Udinese e una salvezza in serie B con l’Ancona. Gli anni migliori sono sicuramente i tre successivi di nuovo a Udine, dove ottiene piazzamenti europei, poi a Roma, però con una squadra fortissima si deve accontentare di due coppe Italia e una supercoppa italiana, sopravanzato in campionato dall’Inter di Mancini e Mourinho. Per vincere un campionato deve andare in Russia allo Zenit di San Pietroburgo, poi torna a Roma dove verrà cacciato a furor di popolo, in particolare per la gestione Totti. All’Inter è la terza scelta, dopo che la società non è riuscita ad ingaggiare Conte e Simeone. Dopo un buon inizio, i nerazzurri incappano in una lunga crisi dove le sue decisioni tattiche appaiono determinanti. Solo quando si decide a schierare contemporaneamente Rafinha e Cancelo e dare spazio a Karamoh, oltre ad alternare il 4-2-3-1 con il 3-4-2-1, la squadra si risolleva, ma poi rischia di compromettere tutto con una formazione sbagliata a Bergamo e il famigerato cambio Icardi-Santon in Inter-Juve, solo per dirne alcune, inoltre perde in casa alla penultima con il Sassuolo, ma alla fine strappa una vittoria al 90′ nello scontro diretto con la Lazio all’ultima giornata dopo aver subìto per 60 minuti e coglie il quarto posto, ultimo posto utile per la champions. In estate spinge per la permanenza di Perisic e l’acquisto di Nainggolan e Keita, sacrificando Cancelo, Karamoh e Rafinha. I fatti gli daranno torto: l’inizio della seconda stagione sulla panchina dell’Inter è disastroso, ma a fine settembre e ottobre raccoglie qualche buon risultato, per poi perdersi di nuovo a novembre-dicembre, fino all’ennesima frittata di ieri sera allo Juventus stadium con il cambio scellerato Politano-Valero. Insomma, un allenatore sessantenne, che ha espresso un buon gioco a metà anni duemila con l’Udinese e la Roma, ma da anni era ai margini, che risulta ormai poco aggiornato e in carriera ha vinto due coppe di Siberia e una supercoppa del nonno.
RAPPORTI CON LA SOCIETA’ Forse il fatto di essere stato una terza scelta della dirigenza dopo Conte e Simeone gli ha pesato, ma Spalletti ha sempre avuto un atteggiamento di risentimento verso la società, cercando anche di tirarsi dalla sua parte i tifosi in questa rivalsa. Fin da subito si è lamentato pubblicamente per i mancati arrivi di giocatori come Vidal, accusando i dirigenti e la proprietà di illudere i tifosi, ha sempre giocato di sponda con la parte più credulona della tifoserìa, anche alimentando la falsa idea che la rosa dell’Inter fosse limitata, per giustificare il fatto che faceva giocare sempre gli stessi 11 e per dare l’idea che Lui faceva miracoli con il materiale a disposizione. In questo modo ha tenuto in panchina per tutto il girone d’andata della scorsa stagione giocatori come Cancelo e Karamoh, poi a gennaio è arrivato Rafinha, ma lo ha scongelato solo a marzo. Per tutta la stagione si è lamentato pubblicamente della rosa a disposizione, in gennaio a Firenze ha sbroccato per la mancanza di un quarto centrale, (“Lo sa anche mia nonna che mi manca un centrale!”), la società gli ha preso Lisandro Lopez dal Benfica e lui non lo ha mai fatto giocare. Ultimamente è tornato a punzecchiare la dirigenza, accusandola della cessione di Cancelo, ma in realtà il rapporto con il portoghese fu conflittuale, come detto non lo fece giocare per tutto il girone d’andata, poi gli impose di giocare a sinistra, Cancelo una volta abbandonò polemicamente un allenamento. Dopo la sconfitta allo Juve stadium di ieri è tornato su un suo vecchio cavallo di battaglia, quello della mancanza di qualità della rosa.
RAPPORTI CON I GIOCATORI L’impressione è che Spalletti sia il classico insegnante con le sue simpatìe e antipatìe con gli allievi. Già detto del suo rapporto difficile con Cancelo, va ricordato anche come Rafinha, tornato al Barcellona, abbia recentemente dichiarato che fu Spalletti a non volerlo confermare all’Inter. Eppure il filosofo di Certaldo sembra avere i suoi pupilli: chi segue le sue conferenze stampa prepartita sa come ami spendere lunghi minuti nell’incensare un giocatore come Perisic con sguardo sognante, nel difendere a spada tratta Nainggolan, mentre con Icardi sembra esserci un rapporto di odio e amore, a volte lo elogia, a volte lo punzecchia. Sappiamo come a Roma soleva attaccare Dzeko continuamente mentre è storia nota la sua rottura con Totti. Una panoramica che ci fa pensare come l’allenatore toscano soffra i giocatori di qualità, in particolare i fantasisti, i numeri dieci, che in effetti non sono contemplati nel suo 4-2-3-1 che vede nel ruolo sopracitato avanzare mezz’ale alla Perrotta o Nainggolan. Ancora ieri è tornato a parlare di mancanza di qualità dei giocatori, poi ha attaccato duramente Politano.
RAPPORTI CON I MEDIA Alcuni interisti che vedono in lui il nuovo Mourinho, o cercano goffamente di propagandare una simile idea se vogliamo un po’ “blasfema”, hanno dimenticato che proprio Mourinho lo definì “l’amico di tutti che parla con tutti” in quella famosa conferenza stampa sulla “prostitusione intellettuale”, la quale infatti consisteva in larga parte a detta di Mou proprio nel rapporto di favore che l’allora allenatore della Roma aveva con i giornalisti, che invece detestavano il portoghese. Se non si capisce questo non si capisce nulla e sopratutto non si vede il cortocircuito di un allenatore che una volta arrivato all’Inter ha cercato di assumere il ruolo di “neoMourinho” contro la “prostitusione intellettuale”, ma alla fine era sempre “l’amico di tutti”, e infatti la maggioranza dei media lo ha appoggiato, non lo ha mai attaccato, da qui sono nate delle surreali conferenze o interviste postpartita dove Luciano si scaglia gratuitamente contro i giornalisti o finge di essere stato attaccato e gli intervistatori si guardano smarriti non capendo che diavolo stia succedendo.
RAPPORTI CON I TIFOSI E appunto, rifacendosi ai rapporti con i media, Spalletti ha cercato fin da subito di intessere un rapporto privilegiato con i tifosi interisti, ma in chiave antisocietà e antigiornalisti per coltivare il proprio orticello, rivolgendosi in questo modo di fatto solo a quella parte più miope e folkloristica della tifoserìa, quella incapace di vedere il giochino propagandistico, incapace di vedere la differenza tra lui e Mourinho (e ce ne vuole) e facilmente strumentalizzabile. In realtà l’ex allenatore dell’Empoli, nel gennaio 2018, in piena crisi Inter, si sfogò con alcuni tifosi romanisti fuori da un ristorante milanese definendo l’ambiente interista un ambiente di pazzi. Un ambiente e una tifoserìa che in realtà non lo ha mai amato.
STILE E COMUNICAZIONE E veniamo all’ultimo punto, apparentemente meno importante e invece non meno decisivo nel definire Spalletti una allenatore non da Inter. Il suo linguaggio, a metà tra il politichese, il settoriale e il gergale, il filosofare e le espressioni brutali, da una parte è il linguaggio del burocrate che vuol far credere che il calcio è materia solo per addetti ai lavori come lui, ma è un linguaggio che poco si addice ad una squadra anarchica come l’Inter e ad uno sport democratico come il calcio (la scienza non è democratica, ma il calcio sì, per parlare di calcio non è necessario essere dottori laureati a Coverciano); il suo gergo, invece, fatto di espressioni simildialettali, non milanesi però, come “chiappare” e “cazzimma”, poco si addicono ad una squadra a vocazione internazionale come la beneamata e invece tradiscono una sorta di orgoglio metaforico paesano e paracontadino che è anche legittimo, ma che con l’Inter non c’entra nulla. Ma torniamo al linguaggio filosofante e politichese, è sempre condito con sorrisini sarcastici e sguardi di commiserazione nei confronti dell’interlocutore, che fanno di Spalletti non tanto un allenatore ribelle quale è l’Inter, ma solo un personaggio arrogante, presuntuoso e saccente, che tende a sfociare in atteggiamenti bullistici. Non da Inter, ma con un ego smisurato.