La storia dell’Inter degli anni 90

Chi ha tra i 30 e i 50 anni ricorderà sicuramente con un certo affetto l’Inter di Gigi Simoni, ops, forse avrei dovuto dire l’Inter di Ronaldo, quello vero, non Cristiano, ma il fenomeno. Eppure mi è venuto da dire l’Inter di Gigi Simoni, recentemente scomparso e che abbiamo ricordato QUI.

Fu uno degli allenatori più amati dal popolo nerazzurro, al netto dei soliti “sacchiani” che lo accusavano di difensivismo. Il tecnico seppe trovare quel giusto equilibrio tra l’eguaglianza necessaria a creare uno spirito di gruppo e una sana diseguaglianza necessaria e realistica quando hai un fenomeno, un marziano in squadra e allora la meritocrazia supera la retorica egualitaristica, il talento sopravanza il collettivismo olandese per fare posto al sano buon senso dove il gruppo è la base per esaltare le individualità e non viceversa.
Forse davvero l’Inter di Simoni fu l’ultima squadra della grande scuola italiana, l’ultima che giocava con il libero, anche se anche Fabio Capello è sicuramente un allenatore che in seguito ha portato avanti certi principi.
Quel 97/98 fu sicuramente esaltante. Il regalo di Moratti aì beneamanti, per quello che era e rappresentava Ronaldo all’epoca, ha pari nella storia del calcio tricolore solo nell’acquisto di Maradona al Napoli. Considerato che Pelè mai arrivò in Italia e Messi in seguito è sempre rimasto a Barcellona (nonostante lo stesso Former Massimo cercò di portarlo sotto il Duomo più volte) e Cristiano Ronaldo è arrivato in Italia decisamente a fine carriera e con poca voglia, credo che davvero Maradona e Ronaldo siano i due più grandi giocatori della storia della serie A del ‘900 e ad oggi non ci sono pari.

Eppure il bello di quell’Inter è che non era solo Ronaldo, c’era la fantasia di un giovane sciuscià leccese che puliva le scarpe al campione e sognava in grande, un guerriero indio cileno con un nonno anarchico che apriva i varchi al campione, un pittore armeno e un centrocampo con un “Pirlo” brasiliano antelitteram come Ze Elias (a conferma che nessuno inventa niente, visto che prima ancora c’era un certo Suarez), un altro indio guerriero come Simeone e un francese non snob come Cauet, mezz’ale complete che sarebbe riduttivo parlarne solo per la sostanza e la garra, ma davano qualità e gol. E sì, c’era già Javier Zanetti, un giovane Zanetti. Com’era il numero 4 nel 98′? In fondo uguale ad adesso, perchè Javier sarà sempre coerente e fedele a se stesso. Ma più fantasioso, amante del dribbling e inarrestabile. Dietro l’ultimo libero dai piedi buoni della storia del calcio italiano, Salvatore Fresi, un vecchio milanese come Beppe Bergomi, purtroppo nemo propheta in patria e non amato da tutta la tifoseria, un fabbro cosentino come Colonnese che Simoni si portò da Cremona infrangendo tutti gli scetticismi, un portiere pazzo e fantastico come vuole la tradizione del Biscione come Pagliuca.

E non è finita qui, c’era un ebreo olandese originario del Suriname il cui nome era un programma: W… Inter. Un pazzo nigeriano che addirittura ha fondato una sua religione, Taribo West, una squadra che sinceramente sembrava uscita dai fumetti di Sergio Bonelli e da qualche albo tra Tex Willer e Dylan Dog. C’era anche Kanu, a cui Moratti salvò la vita, e poi la vecchia e giovane guardia italiana con Nicolino Berti, Sartor, Marco Branca, Paganin, Galante, Milanese, Mazzantini, Tarantino, Mezzano e quel Ganz che poi tradì. Non trovarono tanto spazio Rivas e persino un certo Paulo Sousa, ma fu una stagione memorabile.
Ma come fini? Lo sappiamo tutti, noi non siamo della schiera degli interisti piangina e vittimistici, non ci piacciono gli alibi, l’Inter spesso si è rovinata con le sue mani, ma quell’anno no, quello scudetto era nostro e lo riconobbe tutta Italia, che di certo non ci ama, ma alla fine ce ne andammo tutti a Parigi, a prenderci la Coppa Uefa, incontrammo anche Elio delle storie tese finita la partita lungo le strade della capitale d’oltrealpe, ci invitò alla festa dell’Inter con tutti i giocatori, ma noi pensammo fosse un sogno e non ci credemmo, rimanendo così a guardare le stelle. Ma era tutto vero.
Amala, pazza Inter Amala.