Ritiro nerazzurro a porte chiuse, raduno senza tifosi, la comunicazione social e il bunker fisico interista
Il giorno del raduno è sempre emozionante. Oggi l’Inter si è ritrovata ad Appiano Gentile per riprendere il cammino. Assenti solo i “mondialisti” Vecino, Miranda, Brozovic e Perisic. Tanti i primavera presenti per completare un organico al momento di soli 22 giocatori, compresi gli assenti.
Tutto però si è svolto nella massima segretezza. Dimenticate i luccicchii di internet, i video giovanilisti, le presentazioni cinematografiche, gli omaggi a Dante, nel momento del rituale contatto umano con i tifosi, il classico raduno estivo, si è alzato un muro. La squadra si è trovata a porte chiuse e così rimarrà fino alla fine del ritiro.
E’ un’Inter sempre più social, glamour, internettiana, ma anche impermeabile come una cortina di ferro, fredda, chiusa in un bunker. E proprio di bunker si tratterà questo ritiro, che non si svolgerà più in montagna a quotidiano contatto fisico con i tifosi, ma totalmente a porte chiuse al Suning Centre di Appiano, dove sono stati letteralmente costruiti dei muri per non fare entrare nessun curioso e dove l’area verrà sorvegliata da guardie nemmeno come al check point Charlie di Berlino Est*.
Il giornale torinese Tutto Sport ha parlato di raduno “vecchio stampo”, ma non è vero, gli allenamenti a porte chiuse sono un’idea relativamente recente nel mondo del calcio e gli allenamenti estivi sono da sempre il classico momento per stare con i tifosi, che possono chiedere un autografo e scambiare quattro chiacchiere con i loro idoli, vedendoli da vicino.
Si tratta comunque di una scelta legittima da parte della società (o dell’allenatore?), ma quello che stupisce è la rigidità paranoica della stessa. Per esempio, oggi al primo giorno di ritiro a quanto sappiamo il gruppo ha fatto palestra ed esercizi di tecnica individuale, quale mai segreto e invenzione tattica avrebbero potuto carpire le spie della Cia e del Mossad che si sarebbero infiltrate tra i tifosi se almeno il primo allenamento, dove di certo non si mettono a punto chissà quali schemi segreti, si fosse svolto a porte aperte?
I social network sono importanti, ma per come sono strutturati e per le leggi e regole che hanno sono predisposti più all’indottrinamento che ad una reale partecipazione, alla creazione di comunità chiuse e settarie piuttosto di comunità aperte e plurali, sono territorio libero per la violenza verbale degli stupidi e degli ignoranti. Una squadra di calcio, se vuole continuare ad essere una comunità, non può limitarsi a stare sui social, a creare una community virtuale di fan (diminutivo di fanatics) o followers (seguaci), ma deve mantenere il contatto con i tifosi in carne ed ossa che vivono la squadra allo stadio, al pub, in città, all’allenamento.
Ma perchè questa scelta di chiudersi nel bunker? Chiudersi in un bunker è un segno di debolezza, a differenza di quello che pensano tanti strateghi da bar sport. Durante la seconda guerra mondiale Hitler si chiuse nel bunker quando stava perdendo, il comunismo sovietico perse la battaglia delle idee con l’occidente dando un’immagine di sè chiusa e rinchiudendosi in un bunker ideologico, ma anche reale sbarrando fisicamente le frontiere. Al contrario, la Cina Comunista, che 25 anni fa era in uno stato di miseria e povertà, ha iniziato a crescere vorticosamente aprendosi al mercato globale, alle aziende e alle merci straniere. Il bunker può essere utile in un breve periodo, a vincere una battaglia, a compattare momentaneamente il gruppo in un momento topico, ma non la guerra. Sul lungo sfibra, non è un caso che un teorico del bunker come Mourinho abbia sempre fatto male alla terza stagione sulla panchina delle sue squadre e all’Inter scappò al termine della seconda stagione. Mourinho è un vincente al primo colpo, perchè spreme psicologicamente i suoi giocatori, ma ha sempre fatto terra bruciata dietro di sè, senza seminare. E abbiamo visto come la stagione scorsa, con un pessimo imitatore di Mourinho in panchina, la squadra che era partita a razzo, a un certo punto, chissà perchè, ebbe una paralisi psicologica ed è riuscita a centrare l’ingresso in Champions afferrandolo per i capelli all’ultimo minuto dell’ultima giornata e dopo aver fallito un clamoroso match point in casa con il Sassuolo la domenica precedente.
Se l’Inter vuole costruire un ciclo duraturo e non accontentarsi di un quarto posto preso all’ultimo o di qualche exploit estemporaneo lungo una stagione, dovrà sicuramente rivedere la sua psicologia e la sua comunicazione, che non può limitarsi a quella di un allenatore che si autorappresenta come un Mosè che viaggia in pulmann tra due ali di folla in preda all’isteria, ma deve vedere protagonisti i dirigenti, la proprietà, che deve fare sentire la sua presenza.
*Il Check point Charlie era il posto di blocco che divideva la Berlino Est controllata dai sovietici dalla Berlino Ovest filoamericana tra il 1961 e il 1989. Simbolo della guerra fredda insieme al muro di Berlino, dove si calcola che 1613 persone morirono nel tentativo di scappare dalla prigione a cielo aperto dell’Est verso l’Ovest e oltre 5000 riuscirono a scappare, tra cui circa 500 militari. I paesi del blocco sovietico, infatti, vietavano ai propri cittadini di uscire dai loro paesi. Il pesante confronto tra le condizioni materiali ed esistenziali di vita nella Germania dell’Est e quelle nella Germania dell’Ovest, inoltre, furono un fattore determinante nella sconfitta del blocco sovietico.