La dialettica tra Spalletti e Marotta tiene banco nel postpartita

Il confronto tra Marotta e Spalletti

proteste di Spalletti

 

Nel postpartita di Inter-Udinese 1-0 tiene banco la dialettica che Spalletti ha innescato con Marotta. Il neoamministratore delegato dell’Inter aveva dichiarato giovedì nel giorno del suo insediamento che “bisogna sostenere e supportare l’allenatore”. Spalletti nella conferenza di ieri ha risposto affermando che “se dici che mi vuoi supportare vuol dire che stai dicendo che da solo non ce la faccio.” Marotta pochi minuti prima di Inter-Udinese di oggi ha provato saggiamente a spegnere la polemica, dicendo che “bisogna capire l’orgoglio di Spalletti, che ama la dialettica, ma ho cenato con lui ieri sera e va benissimo”. Nel postpartita Spalletti è tornato sul punto sostenendo che “il senso che ci avete dato non è quello che volevo riportare. Forse l’avete letta, ma non ascoltata l’idea. Io voglio difendere l’Inter davanti alla stampa. E’ sempre la mia scelta e spero lo facciano anche i nostri tifosi. Poi ognuno gli dà il taglio che gli pare, fa parte dei giochi.” Quindi in conferenza difende l’unità di facciata: “Con Marotta sono in sintonìa da 20 anni, per voi giornalisti è dura, non ci mettiamo a litigare tra di noi, conta l’Inter, se faccio male vado via.” Una doppiezza da politico consumato, come vedremo.

Frank De Boer diceva che nessuno è più grande dell’Inter“. La strategìa mediatica di Spalletti invece è evidente, crea una sovrapposizione congruente tra lui e l’Inter. In questo modo difendere sè stesso e il suo orgoglio per Spalletti coincide con difendere l’Inter. Spalletti non parla di tifosi dell’Inter ma di “nostri (miei?) tifosi”. Da un anno polemizza con la società, poi accusa la stampa di malinterpretare le sue parole, in questo modo ottiene due effetti: da una parte cerca di dirottare il malcontento dei tifosi sulla società, sul club, dall’altra si presenta come il baluardo e il difensore dell’interismo contro la stampa cattiva e nemica. Questa doppia strategìa sostanzialmente consente a Spalletti di attaccare l’Inter o il suo gruppo dirigente e nello stesso tempo di essere lui stesso l’Inter.

Da anni esiste una fronda antisocietaria all’interno della tifoserìa interista, che accusa la società (prima Moratti ora Suning) di lasciare solo l’allenatore, individuato a sua volta come l’incarnazione dell’interismo che combatte il sistema e che se ottiene dei risultati si prenderà tutti i meriti, mentre se si perde sarà colpa di società e giocatori.

Il messaggio di Spalletti è chiaro: 1) Non ho la fiducia della società, che è debole e non combatte il sistema 2) Chi critica me critica l’Inter, perchè io sono l’Inter.

Questo clima di paranoia, però, a ben vedere, non porta nessun beneficio all’Inter e tantissimo a Spalletti, anche se la maggioranza silenziosa dei tifosi interisti sembra essere stanca di lui, mentre a sostenerlo rimane una minoranza avanguardista e organizzata.

D’altra parte nell’epoca del postmourinho gli allenatori nerazzurri, almeno una parte di loro, sembrano ossessionati dalla sindrome di Mourinho, come ha detto lo stesso Spalletti in conferenza stampa dopo Inter-Udinese, “non ce la faccio ad essere Mourinho in due campionati, ho bisogno di più tempo”. Essere Mourinho sembra essere diventata l’ossessione di chi si siede sulla panchina dell’Inter dopo il 2010, ma siamo sicuri che la maggioranza dei tifosi interisti vuole questo? Forse la soluzione sarà NON essere Mourinho, essere sè stessi, voltare pagina e scrivere nuove emozionanti pagine interiste, tutti insieme, non alimentando fronde e correnti interne. Amala.

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