E’ uscita l’attesa intervista di Moratti a Sette, l’inserto del Corriere della sera. Tralasciando i toni elegiaci degli intervistatori, che si spingono nella cortigianeria di parlare di “ultima cena” e cercano di dare una cornice nostalgica e malinconica alle ultime ore da presidente, val la pena riportare questo passaggio significativo che esprime bene quello che lo stesso Moratti definisce “il vero spirito di Milano”, tutt’altro che nostalgico: “Io ho sempre pensato che contassero i grandi giocatori e non il luogo di nascita, perchè credo che questo sia il vero spirito di Milano, una città dove aprirsi e non chiudersi, cercare spazi e non accettare limiti. Milano è spirito nuovo, progettualità vera, forza, trascinamento. Che significa inserire nella città quelli che partecipano al lavoro. Non mi è mai interessato sapere se Cambiasso è italiano o argentino; so che è un professionista esemplare e una persona meravigliosa.”
Il resto dell’intervista non ha sostanzialmente aggiunto nulla di nuovo, se non che Mancini rischiò di essere esonerato già nel 2006, ma riuscì a convincere il presidente a tenerlo. Moratti ha poi ricordato i passaggi chiave della sua presidenza, ripetendo sostanzialmente ciò che aveva detto all’assemblea dei soci e nelle interviste dei giorni scorsi: La scelta di acquistare un giocatore di colore, Ince, andando controcorrente rispetto ai pavidi avvertimenti di un consigliere, la decisione di fare un passo laterale nel 2011, dopo aver pensato di vendere già nel 2006 e i ricordi delle prime ore di quest’avventura, scartando Ortega e mettendo gli occhi su un giovane terzino di nome Zanetti. Ma forse il ricordo migliore è l’incontro con Prisco per strada, che gli chiese di prendere l’Inter, un’Inter che in quei anni era diventata “pallida”.