Dove sta andando l’interismo? Sta iniziando un’epoca nuova e in questa quarta puntata della nostra indagine vogliamo chiederci a che punto siamo. Nelle prime tre puntate abbiamo indagato alcune radici storiche dell’identità interista, oggi invece parleremo più dell’attualità e degli ultimi anni.
A cavallo dei due secoli gli interisti hanno vissuto periodi altalenanti e senza mezze misure. In base a come hanno reagito, prima ad un lungo ciclo di delusioni e poi ad una serie di vittorie e trionfi, si sono formati vari interismi. Oggi, invece, stiamo entrando in una fase nuova, dove non sappiamo dove andremo e come si riformerà l’interismo, complice anche la scomparsa o la fuoriuscita di alcune figure di riferimento tra le più importanti della storia dell’Inter.
Gli anni duri, gli anni dove ci cantavano “non vincete mai”, che fastidioso ritornello, che poi gli abbiamo restituito, cantandoglielo uguale oppure ironicamente “non vinciamo mai”, mentre vincevamo tutto. Ma allora non si poteva sapere, non si poteva sapere che sarebbe finita così. Ci si interrogava sulle cause della sconfitta, delle sconfitte, e sulla base delle diverse analisi del perchè si perdeva nascevano diverse correnti dell’interismo, manco l’Inter fosse diventata come la sinistra italiana. Dove causa a volte faceva rima con colpa e il passo verso il capro espiatorio era breve. In realtà la maggioranza degli interisti non individuava un’unica causa e colpevole, ma vedeva una serie di concause, ondivagava tra esse, ne faceva una sintesi, evitando il manicheismo di chi vedeva un solo elemento. Ma vediamo quali erano questi elementi: C’era chi dava la colpa a Moratti, chi ai giocatori, chi all’allenatore, chi ad un sistema arbitral-mediatico-politico-istituzionale, chi a Moratti perchè non combatteva quel “sistema”. E poi c’erano diverse forme di reazione, da chi tirava i fumogeni in campo a chi la prendeva con ironia, passando per chi si avvelenava la vita, e tra questi c’erano diverse forme di ironia, da quella sentimental-fiabesco-letteraria di Severgnini a quella feroce e dissacrante di un sito di successo come interistiorg.
Tutte queste correnti si possono scannare tra loro in nome del vero interismo, ma in realtà ogni vero interista di volta in volta se la sarà presa con l’arbitro, con l’allenatore, con Moratti, con i giocatori viziati, ma nessun interista sano di mente vedrà mai il calcio come una guerra e avrà invece ironizzato con affetto almeno una volta in vita sua sulle sorti della propria squadra, ma allo stesso tempo nessun vero interista vedrà il calcio e il proprio tifo solo come un gioco o con distacco.
Il 2006 è l’anno di svolta, è un prima e un dopo, dopo di allora cambia tutto e anche l’interismo muta. Per forza di cose la tesi non vincevamo per colpa del “sistema” prende quota, diventa maggioritaria, mettendo in un angolo le altre, il vergognoso tentativo di tirare in mezzo Facchetti e il rifiuto di riconoscere la forza dell’Inter sul campo ricompatta l’ambiente, in questo periodo ogni interista sa da che parte stare, anche se si creano due fronde, una oltranzista che accusa Moratti di non averlo combattuto, questo sistema, e l’altra antimanciniana, che non digerisce le eliminazioni in Champions e l’aver rischiato di perdere uno scudetto già vinto nel 2008. Ma l’arrivo di Mourinho sembra unire tutti. Il tecnico portoghese capisce che deve andare contro una serie di obbiettivi, se la prende coi media, cogli arbitri, con la Juve, ma allo stesso tempo ci mette un pizzico di ironia e sa essere quando serve autocritico ed esigente verso sè stesso e la squadra. Alla memoria rimarrà sopratutto il Mourinho contro la”prostituzione intellettuale”, ma nelle rare sconfitte di quei anni è anche uno dei pochi allenatori ad assumersi le sue responsabilità e ad ammetter di aver meritato di perdere (altri proprio non ci riescono e non ci riusciranno). Questo lo mette al centro dell’interismo. In una sintesi probabilmente perfetta.
Paradossalmente è in questi anni che l’interista però s’incattivisce, ha tutti contro, è vincente quindi non più un simpatico perdente, Mourinho è odiato dai media e dai tifosi delle altre squadre, anche se in realtà è anche un gioco che crea spettacolo e interesse per tutti, mentre perde quota se vogliamo il severgnismo, quell’interismo che non è vero che godeva masochisticamente a perdere (questo dicevano i detrattori), ma preferiva perdere con stile e rifiutava la logica del calcio come prosecuzione della guerra con altri mezzi ed è stato anche un antidoto negli anni bui, però forse eccedendo in una sportività da gentiluomini di campagna. Ma ora risulta apparentemente marginale, almeno in rete, dove proliferano blog e siti mourinhiani, ma con l’elmetto in testa, senza lo stile di Mourinho o l’eleganza di un Moratti, col tempo finendo forse col confondere l’essere bauscia con l’essere arroganti e alimentando una “prostituzione intellettuale” alla rovescia, quando ormai saranno tornati gli anni bui e si rischierà di finire col difendere l’indifendibile in nome di una battaglia ormai dal sapore ideologico-politico.
Nel frattempo con l’addio di Mourinho, le cui modalità non a tutti piacciono, gli interisti tornano a dividersi sul più bello, anche su un Milito che alla prima intervista dopo il triplete paventa l’addio, alcuni tirano in ballo ancora la prostituzione intellettuale dei media, altri lo vedono come un volgare battere cassa nell’ora della vittoria. Siamo in una nuova fase, tornano le sconfitte, gli psicodrammi, gli interisti e gli interismi si dividono sul clan argentino, c’è, non c’è, fa il bene dell’Inter, fa il male dell’Inter, ma intanto cambia tutto. L’Inter ha perso Prisco nel 2003, Facchetti nel 2006 e Moratti lascia gradualmente dal 2013 e il 2016. L’Inter di Thohir è decisamente modesta e poco ambiziosa, Mazzarri riscatena il lato ironico degli interismi, mentre altri si attardano a scimmiottare Mourinho, non capendo che se l’Inter arriva settima questa volta non è colpa degli arbitri e dei giornalisti. Mancini riporta un po’ di senso di grandezza, ma poi si perde, ma siamo arrivati al presente. E alla domanda iniziale: Dove va l’interismo? Una cosa è certa, come diceva Herrera, “l’Inter è una famiglia enorme, vivace, appassionata.” L’auspicio è che Suning continui nella strada intrapresa di coinvolgere i tifosi, riportarli allo stadio come sta facendo, senza però appiattirli, senza perdere identità, senso critico, ma anche senso di appartenenza, ironia e tradizioni, milanesità, onestà intellettuale e morale, voglia di vincere. Amala.