Era settembre, calcisticamente parlando un’era geologica fa. Gabriel Barbosa, detto Gabigol, veniva presentato alla sede della Pirelli, con tanto di maestranze convocate nell’auditorium da un Tronchetti Provera in una versione a metà tra il mega direttore galattico, il commendator Zampetti e il milanese imbruttito. Tutto era creato per fare un’analogìa con il fenomeno Ronaldo, una grande analogìa, come poi sia andata è storia recente. Eppure in questi mesi è nato un movimento gabigollista, tutto internettiano, che reclama a gran voce il brasiliano dalla barba disegnata, accusando gli allenatori (all’Inter bisogna sempre parlare al plurale in questo caso), di non aver compreso il genio della pedata. Personalmente non so chi abbia ragione e se Gabigol sia un genio calcistico incompreso, avendolo visto giocare per quei pochi spezzoni obtorto collo concessi dai mister, ma credo di aver intuito il perchè dello scarso utilizzo. Il ragazzo ha tutte le caratteristiche del demagogo del calcio, giocate di tacco a metà campo e funambolismi vari puramente dedicati all’ovazione del pubblico e privi di qualsivoglia concretezza. Non sembrerà un caso, ma dopo cinque minuti che è entrato partono le randellate dei difensori avversari. Il calcio italiano è questo, non ama chi cerca l’applauso facile, al contrario di twitter.