“E’ giusto che la Lega intera affronti questo problema con soluzioni non ipocrite, ma concrete. Soprattutto, che non penalizzino i club, che si trovano tra l’incudine e il martello. Non penso si debba totalmente cambiare la regola ma sicuramente questa stessa va rivisitata.
Le sanzioni devono essere esercitate con modalità congrue al fatto compiuto, senza sproporzioni. Anche se tutti i 300 tifosi in trasferta avessero intonato cori di discriminazione, sarebbe stato sproporzionato chiudere un settore di 8mila persone, con biglietti già pagati”.
Val la pena analizzare queste parole di Fassone in merito alla decisione di riaprire la curva nord per il derby dopo i cori di discriminazione territoriale a Napoli. Fassone chiarisce che l’Inter non è contro questa regola, ma contro gli elementi sproporzionati della stessa, che mettono le società “tra l’incudine e il martello”, cioè sotto il ricatto degli ultras. E’ chiaro quello che è successo in questi mesi. Nonostante le società di Inter e Milan si fossero apertamente schierate per rivedere la norma sulla discriminazione territoriale, gli ultras di Inter e Milan hanno continuato di proposito a fare certi cori per far squalificare le curve e andare allo scontro totale. In gioco non c’era la libertà di espressione, ma il controllo del territorio e il potere delle curve sulle società. Abbiamo così assistito alla penosa processione di allenatore, capitano e vicecapitano che si sono prostrati a perorare la causa della curva fino a dire assurdità retoriche come “non c’è derby senza curva”. Sarebbe ora di ripristinare le giuste proporzioni anche qui: Non c’è derby senza giocatori in campo, il resto è contorno.