L’Inter ricorda Arpad Weisz, l’allenatore che lanciò Meazza e che morì in un campo di concentramento, con un torneo all’Arena di Milano (Storica casa dell’Inter) dedicato alle squadre Allievi di Inter, Milan e Bologna. Appuntamento giovedì 26 settembre alle ore 15.
Questo il ricordo dell’allenatore ungherese comparso su Inter.it:
“Un luogo storico, l’Arena di Milano, per l’Inter e soprattutto per lui, il primo ad allenare in tuta, a scendere in campo con i suoi giocatori: Arpad Weisz, che qui vinse nel ’29/30 il primo scudetto a girone unico, fu un allenatore che precorreva i tempi.
Giovedì, Inter, Milan e Bologna scendono in campo con le squadre Allievi nella prima edizione del triangolare che il Comune di Milano ha organizzato, con la città di Bologna, l’organizzazione ‘W il calcio’, numerose voci delle comunità cittadine e sindacali.
Chi era Arpad? Un giocatore che già negli anni trenta viaggiava per il mondo, ungherese di nascita ed ebreo di religione. Milano lo aveva attratto nella sua seconda vita, quella di allenatore, metodico, giovanissimo in anni in cui quello era un lavoro per gente più esperta, studioso di tattica e innamorato del pallone.
Questa seconda vita di Arpad Weisz fu brillante, vittoriosa, quasi trionfale. Incrociò i primi passi di Giuseppe Meazza e ne intuì il genio. Dopo quel leggendario scudetto in nerazzurro, ormai marito e padre di due bambini, andò ad allenare il Bologna, vincendo anche lì.
A scuola si insegna che il nazismo fece qualcosa di spaventoso, sterminando gli ebrei, ed è qualcosa di talmente orrendo che lo si apprende come una nozione. Si allontana dalla mente la percezione che possa essere qualcosa di reale.
La storia di Arpad Weisz, invece, lo rende tragicamente tangibile. Un idolo del calcio costretto a scappare per l’emanazione delle leggi razziali, prima Parigi, poi l’Olanda. Un uomo, una donna, due bambini in fuga: fino alla mattina in cui li presero.
Per lui ci fu una lunga agonia in campo di concentramento di Auschwitz, per la famiglia la fine fu immediata, vennero gasati all’arrivo a Birkenau.”