Gli “italiani” e gli interisti ai mondiali
Le semifinali dei mondiali di questi giorni ci avvertono che ci sono stati solo quattro giocatori “italiani” presenti nelle quattro formazioni titolari che si sono dimostrate più forti sul campo in Russia: Matuidi, Strinic, Mandzukic e il nostro Perisic, a cui si aggiungono le riserve Mertens, Brozovic, Badelj e Kalinic. L’arrivo di CR7 nel campionato italiano deve essere il punto d’inizio per una rinascita della serie A e uno stimolo per le altre squadre a fare meglio e di più per colmare il gap con la Juve e non il punto d’approdo di grottesche autocelebrazioni del nostro calcio attuale sentite su stampa e tv, tipiche di un nazionalismo all’amatriciana, incapace di migliorarsi.
“Affare del secolo”, “verrà tramandato oralmente ai nostri nipoti”, le bombate fanfaronate si sprecano, ma intendiamoci, quello della Juve è un gran colpo che sicuramente ridà lustro alla Serie A e probabilmente fornirà ai bianconeri almeno un altro anno da protagonisti assoluti. Però, non si può far finta di non vedere che Cristiano Ronaldo arriva in Italia all’età di 33 anni, che intanto i mondiali hanno sancito la nascita di altre stelle nel firmamento pallonaro e che Francia-Belgio di ieri sera sembrava una partita di Premier League, una sorta di quadrangolare mischiato tra le due di Manchester, il Chelsea e il Tottenham, una spruzzata di Liga e Ligue One e il solo Matuidi a rappresentare il campionato italiano nei 22 titolari, prima dell’ingresso in campo di uno spento Mertens.
Il football tricolore si è concentrato sui talenti balcanici in questi anni, sicuramente fiutando una traccia giusta, ma si è evidentemente perso la fucina di talenti belgi e francesi, attardandosi sull’anacronistico calcio sudamericano. In controtendenza, oltre alla Juve, il nostro Ausilio, che è andato a pescare Karamoh e Dalbert nel balùn francese. E allora, chissà che nel momento in cui le nostre banche mettono in guardia da una deriva sudamericana del nostro paese, non si possa assistere ad un rientro in Europa anche del movimento calcistico italiano.
Le potenzialità economiche maggiori di alcuni grossi club europei non possono essere un alibi per i nostri team, perchè si possono costruire squadre competitive anche senza ingenti somme, oltre al fatto che i ricavi si possono ottenere con una maggiore imprenditorialità, come la Juve insegna. Il tempo delle scuse è finito.