Rabbia, delusione, scoramento e questa Inter che fa dannare. Ma fermiamoci un attimo a riflettere. Partiamo dal calcio giocato. L’Inter ha sempre avuto il problema del primo passaggio, dell’impostazione, lenta, macchinosa. Solo due giocatori negli ultimi trent’anni hanno risolto questo problema: Matteoli e Thiago Motta. Il declino dell’Inter è iniziato nel gennaio 2012 quando uno sconcertato Ranieri si trovò privato del regista italo-brasiliano.
A questo punto, se ci sono problemi di impostazione, partire sempre in inferiorità numerica in mezzo al campo con il 4-2-3-1 è un suicidio tattico la cui responsabilità è da imputare all’allenatore, al netto della tendenza dei giocatori offensivi a non venire mai incontro e della lentezza di chi imposta. Questo modulo spacca in due la squadra, ma è stato pensato per avere due ali che crossano ripetutamente per l’uomo da area di rigore Icardi. Non c’è altro gioco, mai un palla avanti-palla indietro-palla avanti, mai una triangolazione (salvo quando entrano in campo Karamoh e Rafinha), mai una verticalizzazione, mai un cambio di gioco o un lancio.
Servivano cambiamenti che non sono stati fatti, Spalletti si è rivelato un dogmatico, integralista, monotematico, la rosa può essere corta, ma tra le riserve c’erano qualità nascoste, da Karamoh a Cancelo, ma anche Pinamonti, attenzione a bocciare Dalbert e ora anche Rafinha il tecnico non lo vede.
Il grande abbaglio collettivo è stata la partita con il Pordenone, dove l’allenatore ha schierato tutte le riserve insieme mandandole allo sbaraglio con una formazione senza senso, ma trasmettendo il messaggio che erano scarse e faceva bene a far giocare sempre gli stessi 12-13.
Per parafrasare Condò, che ha definito Brozovic un giocatore del secolo scorso, Spalletti è un allenatore del secolo scorso, con un solo modulo, incapace di gestire gli uomini, allergico al turn-over, succube delle gerarchie interne allo spogliatoio, ma c’è un altro aspetto:
I più attenti osservatori hanno notato che il “pessimista” di Certaldo ha sempre fatto giocare i calciatori che aveva chiesto lui (Skriniar, Vecino, Valero), ma non ha mai visto i giocatori scelti da Sabatini e Ausilio (Dalbert, Cancelo, Karamoh, Rafinha). Questo ha creato un conflitto con la dirigenza, alimentato dalle sparate pubbliche di Spalletti.
E la società? Sicuramente è debole e assente, a cominciare dal fatto di permettere all’allenatore di giocare allo sfascio pubblicamente, ma rivediamo un attimo quello che ha fatto: Arrivata nell’estate del 2016 ha speso 80 milioni per Gabigol e Joao Mario affidandosi ad intermediari. Poi ha alimentato per tutta la stagione scorsa voci di grandeur su un grande mercato, ma alla fine nell’estate 2017 ha fatto un mercato discreto, con un saldo negativo di 30 milioni, ma con una rosa incompleta. Chiaramente con le aspettative create la delusione dei tifosi è stata comprensibile, ma non stiamo parlando di una squadra di brocchi, ma perfettamente in grado di centrare l’obbiettivo Champions, anche se l’obbiettivo dell’Inter deve essere lo scudetto.
Nel mercato di gennaio i cordoni della borsa sono stati del tutto chiusi, le direttive del governo cinese in base agli investimenti sportivi parlano chiaro, il silenzio di Zhang Jindong è assordante, nonostante ciò Sabatini e Ausilio hanno tirato fuori dal cilindro un giocatore superiore come Rafinha e completato la rosa con Lisandro Lopez.
Eppure l’allenatore, dopo mesi di messaggini, frecciatine, cirlocuzioni, ha iniziato proprio a sbroccare, sparlando pubblicamente di società, dirigenti, tifosi, giocatori, salvo poi dare la colpa ai giornalisti di riportare le sue parole.
Qui entra in gioco la schizofrenia di una quota della tifoserìa che difende a spada tratta e fanaticamente il tecnico. Questi tifosi si presentano come le guardie dell’interismo, i difensori di una fede, accusano di disfattismo, masochismo, schizzinosaggine, follìa qualunque tifoso che non la pensi come loro, ma alla fine appoggiano un allenatore che in realtà sta attaccando tutte le componenti dell’Inter, dalla società, ai dirigenti, ai giocatori, all’ambiente, in una parola tutta l’Inter. Accusano di disfattismo, ma inconsciamente sono i più disfattisti, ma si presentano come i depositari dell’interismo e scatenano cacce alle streghe verso chiunque ragioni con la propria testa.
Infine i giocatori: lungi da me difenderli a spada tratta, hanno le loro colpe, ci sono stati litigi nello spogliatoio, Icardi è un capitano non riconosciuto e forse la società doveva dare la fascia a Miranda o Handanovic, ma a parte due-tre elementi non credo al loro menefreghismo o a scarsa professionalità, piuttosto ad una mancanza di personalità, perchè d’altronde stiamo parlando di giocatori quasi tutti di età medio-bassa che indossano la pesante maglia dell’Inter senza aver mai vinto nulla in carriera.