“Siamo poco mediatici”, si vantava all’epoca con un pizzico di snobismo Marco Branca, allora direttore nerazzurro e uomo fidatissimo di Moratti, suscitando la rabbia incontenibile di molti tifosi, che soffrivano la magniloquente sontuosità comunicativa dei cugini rossoneri, che dell’immagine avevano fatto un punto distintivo. Poi arrivò Mourinho, e gli interisti scoprirono con orgoglio la battaglia mediatica, la pungente arte del portoghese di cavalcare i media mostrandosi estraneo ad essi. Improvvisamente l’Inter era al centro dell’attenzione, fino a far credere a molti che la comunicazione fosse un elemento strutturale del calcio e dell’interismo, dimenticando che alla base di tutto, nel calcio, ci sono i risultati. La forza di Mourinho in realtà erano i tituli, la sua bravura di allenatore, mentre la sua ars oratoria era la sovrastruttura. Il 22 maggio 2010, capito che la base calcistica non avrebbe più retto, che il ciclo di tituli era finito, il Vate non rimase a fare conferenze stampa, ma se ne andò al Real Madrid. La grandezza di Mourinho è in ultima analisi questa, dietro l’apparente arroganza c’è l’umiltà di sapere in fondo di non essere un leader politico, ma un allenatore di calcio. Il mondo Inter, però, ha faticato a voltare pagina, è rimasto impelagato in un mourinhismo senza Mou, c’è chi si è convinto di poter fare a meno dei risultati, che fosse tutta una questione di comunicazione, ben presto sconfinata nella propaganda, cadendo nel paradosso di deridere i tifosi milanisti perchè “credono alla propaganda di Mediaset”, non rendendosi conto di essere diventato contrariamente uguale a loro. Ma la realtà è lì. Il calcio è fatto di risultati e per raggiungerli servono campioni, progetti seri e non belle parole e strombazzamenti. Il futuro inizia ora, con i fatti.