Il giovane Van De Bur si recò in Italia con mille speranze. Cresciuto alla corte del barone Von Ayax credeva fermamente nei suoi principi. Tutti i cavalieri erano uguali per lui e tutte le battaglie degne di essere combattute. Con una buona organizzazione – pensava – il nemico non ci potrà mai sopraffare. Il casato ambrosiano, divenuto nel frattempo vassallo dell’impero del dragone, lo aveva chiamato per rinverdire i fasti di un tempo e la rocambolesca sortita nella terra dei delfini lo aveva rinfrancato. Ma la sera del tenzone con i birrai del deserto, accade quello che per lui era impensabile. Deciso a restare fedele al suo credo, schierò i cavalieri di riserva, pensando di far loro un gran servigio. Invece, alcuni di questi, provenienti dal fronte lanzichenecco di Slavonia, reagirono sdegnati, combattere con i modesti fabbri israeliti, ma quando mai? Ignari che i fabbri avevano saputo costruire intere città dal nulla nel deserto, scesero in campo baldanzosi e annoiati pensando a una passeggiata, ma finirono per essere infilzati. Il povero De Bur non si capacitava. “E ora che farò, con i Savoiardi alle porte di Milano?”