Nella serata del Match for Expo, Javier Zanetti ha calcato per l’ultima volta l’erba di San Siro dando il commosso addio al calcio e ai suoi tifosi (e non solo, tanti i milanisti sportivamente presenti), accorsi più numerosi che nelle ultime partite di campionato, e come dargli torto. In vent’anni da Javier mai una parola fuori posto, mai un’offesa agli avversari o una parola contro. Fedeltà e lavoro, umiltà e sportività, pagando anche il costo di risultare a volte scontato. Ma chi indossa la fascia di capitano dell’Inter deve essere così, uno sportivo vero, alla Facchetti, alla Bergomi e alla Zanetti. Un signore, come Moratti. Di lui ho amato tutto, anche se col senno di poi forse poteva lasciare prima, quando era ancora al pieno della forza fisica e negli anni belli dell’Inter, evitando gli ultimi anni malinconici e prima che intorno a lui germogliasse anche un culto maradoniano e una retorica eccessivi, stridente con la sobrietà e la semplicità dell’uomo che era in tutto e per tutto atleta, ma forse inevitabile per quello che è il calcio oggi. Ora il numero 4 è stato ritirato con una cerimonia toccante, ma che lascia un po’ di vuoto e perplessità. Non sarebbe meglio trovare un altro n.4, un erede, per una storia infinita, che dura una vita? Ai posteri.