La storia dell’Inter e il gioco

sfondo 2014-15Prendo spunto dall’editoriale dell’ottimo Pizzoferrato su Fcinternews per addentrarmi nel tema tanto dibattuto del gioco nel mondo Inter. Ma non per parlare dell’inesistente gioco di Mazzarri, ma per quello che ha significato nella storia dell’Inter. E’ vero che l’Inter non è mai stata la squadra del bel gioco, Herrera abbandonò ben presto l’iniziale idea di una squadra iperoffensiva, Trapattoni era l’allenatore “italianista” per antonomasia, Mancini lasciò perdere una certa identità di gioco per andare sul sicuro di un’Inter muscolare e il “palla a Ibrahimovic” divenne il marchio di fabbrica. Per non parlare dell’ultima Grande Inter di Mourinho, re della fase di transizione e non certo del possesso palla. L’Inter mouriniana fu l’antiBarcellona per eccellenza che seppe sconfiggere i catalani con un calcio opposto al tiki taka. Non bisogna però commettere l’errore di pensare che il bel gioco e il calcio offensivo sia antitetico all’Inter e al suo Dna. Le due grandi Inter fecero spettacolo, il vituperato Trapattoni giocava con due punte, due centrocampisti offensivi, un’ala destra pura come Bianchi e un terzino offensivo come Brehme (a cui facciamo gli auguri di risollevarsi dalle sue attuali vicissitudini). Ma sarebbe ancora più erroneo escludere l’idea di bel gioco dal Dna dei tifosi nerazzurri, anzi da parte loro la domanda di bel gioco è stata sempre fortissima e fonte di conflitti con i propri allenatori (a cominciare da Trapattoni, mai amato fino in fondo) e squadre. Gli interisti hanno il palato fine e il bel gioco lo vogliono eccome. Basti pensare al partito zemaniano in seno alla tifoseria, che baratterebbe uno scudetto per vedere l’Inter arrivare magari terza, ma allenata dal boemo. Ma si pensi anche a quando arrivò Orrico, poi sbertucciato, ma inizialmente ben accolto per la sua idea di portare un calcio moderno in casa nerazzurra, e infatti alla sua prima a S.Siro accorsero 65mila spettatori. E per tornare ai giorni nostri, a cosa è dovuta la totale insofferenza verso Mazzarri, oltre alla sua arroganza piagnucolosa e alla sua maleducazione, se non al non aver dato un gioco alla beneamata in un anno e mezzo? I tifosi vogliono il gioco, eccome.

2 commenti su “La storia dell’Inter e il gioco

  1. Un”excursus” temporale, quello evidenziato dall’articolo, che restituisce probabilmente meglio di un qualsiasi altro dato statistico la contraddizione fondamentale insita nella passione interista: siamo forse il pubblico dal palato più fine, incline per natura allo snobismo etico (non ci lasciamo invischiare facilmente nel vittimismo legato alle questioni di natura arbitrale, siano esse favorevoli o sfavorevoli nei nostri confronti) ed estetico (abbiamo la scostante consapevolezza che giocatori osannati altrove da noi non toccherebbero palla), eppure non abbiamo praticamente mai visto il cosiddetto “bel gioco”. Ci fu per la verità un’oasi di gioco stranamente spettacolare, durata una manciata di partite, nell’Inter di Lucescu (!) probabilmente dettata dalla presenza di individualità geniali e, hai visto mai, ben assortite come il trio Baggio-Ronaldo-Zamorano, senza bisogno di coniare stucchevoli acronimi da dare in pasto ai tifosi, dove persino lo zio Bergomi ultratrentenne sovrapponeva sulla fascia come un ragazzino. Per la cronaca, poi arrivò un coglione col mezzo sigaro e sappiamo cosa ne è stato del famigerato tridente.
    Mi permetto di dissentire sull’Inter mouriniana, intesa come anti-Barcellona per eccellenza. Nel 2011 il Manchester United disputò e perse una finale contro quel Barcellona, giocando ancora più in difesa. L’Inter di Mourinho tirava in media 40 volte a partita verso la porta degli avversari. L’Inter di Zeman è una bella suggestione, ma ahimè un po’ anacronistica, così come quella di fare di due utopie, una sola.

  2. Sì Faber è vero, l’Inter di Mourinho era eclettica, sapeva giocare in contropiede (ma non i soliti contropiedi, ma i contropiedi alla Mourinho, con 5-6- giocatori che partivano), ma anche in modo offensivo con la difesa alta e la squadra corta. Emerse però come antibarcellona nella doppia sfida con i catalani, non nel senso di difensivista, ma per un gioco a pochi tocchi. Ad ogni modo fu antibarcellona in senso lato, nel senso che quell’anno il Barcellona era strafavorito, la squadra più forte del mondo e nacque anche una certa rivalità, una competizione fortissima tra i due club.

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